I due Foscari, una delle opere più brevi del Maestro Giuseppe Verdi, è il sesto titolo verdiano.
Prigionia, preghiere, solitudine esili e per finire abdicazione forzata, creano una concatenazione di eventi fortemente emotivi.
Rappresentata per la prima volta a Roma al Teatro Argentina nel novembre del 1844, sarà replicata un anno dopo al Teatro la Scala, poi Londra, Parigi
e arriverà a Venezia solo nel 1847.
Amor paterno in contraddizione alla devozione ai doveri dogali. Dolori di un eroe condannato ingiustamente.
Una donna, Lucrezia, l’impersonificazione stessa della Serenissima come immagine di “giustizia“. Queste le dinamiche che Giuseppe Verdi trasforma in musica. Al Teatro la Fenice non veniva eseguita dal 1977.
Ambientata nella Venezia del 1457, descrive la vicenda di Jacopo Foscari, figlio del doge in carica Francesco, di ritorno dall’espulsione dalla Serenissima Venezia in quanto sospettato di omicidio di cui non è reo.
L’invidioso Loredano De Medici e i perfidi Dieci forzano le dimissioni del Doge Francesco, provocando, all’ennesimo sopruso recatogli, una morte per crepacuore, ultima tragedia dei Foscari.
Il librettista Francesco Maria Piave, trae ispirazione, oltre che dal dramma di Lord Byron, anche dalla tragedia di Carlo Maresco: ”la famiglia Foscari “.
L’allestimento scelto dalla Fenice ha ripreso la regia di Grischa Asagaroff, le scene e costumi sono di Luigi Perego della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino.
Di impianto tradizionale, la scenografia si risolve in una torre centrale girevole, facciate dipinte per diversi ambienti e un portale. Come ultimo elemento una balaustra a fondo scena. Costumi ispirati all’epoca della vicenda. Qualche sporadica proiezione (di basso livello grafico) di un leone bi-dimensionale. Tra le immagini anche la tomba di Francesco Foscari con la quale si apre il primo atto per preannunciare la tragedia.
Le luci dai colori sgargianti, firmate dal lighting designer Valerio Tiberi, inondano il palco, con scene e figure di tonalità intense, anziché realistiche e romantiche: i famosi pastelli lagunari, e i demoni di Jacopo, nelle prigioni, sono evidenziati con un rosso intenso, scelta non certo innovativa.
Per finire, nel terzo atto una scena, notturna e cupa è illuminata con luce morbida quasi a giorno: una scelta stridente che destabilizza il pubblico.
Qui la regia non c’è, tutto è nella voce degli interpreti: è un’opera da ascoltare ad occhi chiusi.
Sebastiano Rolli dirige l’orchestra del teatro. Opta per una lettura dalla cornice strumentale di carattere “mimetizzante” dando rilievo a legni, viole pizzicate, arpe e clarinetti. I solisti spalleggiano i protagonisti con un’intensità tale da renderli antagonisti. Le linee melodiche diventano dei conduttori che rendono la composizione armoniosa e piacevole all’ascolto. Accompagna con grande attenzione la scena sia corale che dei singoli personaggi, non abusa del numeroso organico, come spesso accade, mantenendo i forti e fortissimi sotto un controllo calcolato.
Il Coro del Teatro La Fenice, preparato da Alfonso Caiani, è denso e consistente. Rimane ancorato per tutta l’opera ai toni cupi e taglienti. Già dal primo intervento “Silenzio,mistero,Venezia fanciulla” si dimostra sicuro e rodato nel repertorio verdiano.
Solo per qualche istante Verdi lo proietta in una scena festosa, durante la scena prima dell’atto terzo: ”Alla gioia! per la regata”, dove si accompagna in successione un breve balletto di giovani danzatori dalla coreografia classicheggiante di Cristiano Colangelo.
Non possiamo non accusare la terribile caduta di stile nel vestire i poveri coristi con un ridicolo copricapo/accessorio dalla forma del dolfin, il ferro di prua delle gondole: deambulanti in scena, sembravano squali tra i canali di Venezia.
Luca Salsi veste i panni di Foscari, che analizza e scava nel personaggio. Il peso della parola nelle intenzioni, lo rendono patriarcale. Con ricchezza di fraseggio, e vocalità rigorosa e controllata, resta in un perpetuo stato di tensione. Nelle stanze private è in stato lamentoso: “eccomi solo alfine“. Solo durante il duetto e terzetto tra Salsi – Bartoli – Meli del secondo atto, nelle prigioni, il lato emotivo prevale sulla sua pozione: “t’amo sì t’amo o misero, il doge qui non sono”; ma poco dopo nella scena settima, ritorna nei panni dogali e quasi impassibile risponde al figlio: “non più ti rivedrò forse in cielo in terra no”.
L’ultimo gesto impavido, nel finale, lo sdegno contro la volontà del consiglio, con lodevole slancio vocale contro l’incalzare del coro: “cedi cedi rinuncia al potere”, fino a cadere esanime a terra.
Anastasia Bartoli è Lucrezia. Dipinta come incarnazione stessa della Repubblica, è la Giustizia: femmina e misericordiosa. Moglie di Jacopo, è l’unico personaggio che si impone, e non si dispera solamente, si indigna e lotta. Entra dirompente, nello spazio scenico con “non mi lasciate”, accompagnata con una scala di terzine che le crea dinamica ai movimenti. Proietta flussi musicali con sorprendente carica espressiva fatta di slanci che riesce comunque a governare magistralmente. Straziante invece durante i deliri del marito nel secondo atto in: “non riconosci or tu la tua sposa?”
Straordinaria nel terzo atto, al rintocco delle campane per la proclamazione del nuovo doge, la sua figura sembra voler intimidire la situazione disgraziata, ”il bronzo fatal che intorno rimbomba”, lei che solo vorrebbe giustizia.
La Bartoli, da poco reduce del successo veneziano con Ernani (marzo 2023) ora debutta anche in questo difficile ruolo, pur essendo giovane dimostra un grande pathos.
Francesco Meli è Jacopo Foscari. Mosso soltanto dalla voglia di rivendicare la sua innocenza è l’eroe tradito dallo stile romantico. Parte non acuta ma piuttosto tesa, esibisce ampio sfoggio di piani vocali dal timbro luminoso, anche se con qualche intonazione non a fuoco. Esordisce con “Brezza del mar natio” ed ha rischiato qualche stecca, evitate grazie ad una grande conoscenza della propria voce, arginando qualche falla dovuta forse a stanchezza o affaticamento. Degno di nota la sua interpretazione nel secondo atto in ”notte! perpetua notte che qui regni!”, qui allucinato, e poi repentinamente lucido.
Riccardo Fassi è un efficace Loredano. Basso profondo, sinistro, dal carattere scolpito, è precursore di tragedie. Di impatto scenico il suo sontuoso abito rosso.
Marcello Nardis, convince come Barbarigo; presenza statuaria, spesso articola il fraseggio e denota musicalità in ogni intervenzione.
Fassi e Nardis si dimostrano spietati: nell’immediato, già durante la prima intervenzione del primo atto: “ma l’odio tuo quando avrà fine” Loredano contesta con “quando vendicato sarò”.
Carlotta Vichi è Pisana amica e confidente di Lucrezia, vocalità accurata e raffinata. Restituisce con eleganza di tocco il piccolo ruolo. Veritiera nell’approccio vocale, e nelle numerose scene corali si distingue per una voce proiettata e netta.
La scarsità di idee registiche, il rumore del video proiettore, i pasticci cromatici e scelte dai toni kitsch non hanno comunque reso meno gradevole questa meravigliosa serata.
Applausi ripetuti per tutto il cast, nessuna eccezione!
Maggiolen Uscotti
La recensione si riferisce allo spettacolo del 12 Ottobre 2023
Photo©TeatroLaFenice
LOCANDINA
I Due Foscari
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Francesco Foscari Luca Salsi
Jacopo Foscari Francesco Meli
Lucrezia Contarini
Anastasia Bartoli (6, 8, 12, 14/10)
Marigona Qerkezi (10/ 10)
Pisana Carlotta Vichi
Jacopo Loredano Riccardo Fassi
Barbarigo Marcello Nardis
Un fante del Consiglio dei Dieci
Alessandro Vannucci (6, 10, 14/10)
Victor Hernan Godoy (8, 12/10)
Un servo del doge
Antonio Casagrande (6, 10, 14/10)
Enzo Borghetti (8, 12/10)
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Sebastiano Rolli
maestro del Coro Alfonso Caiani
regia Grischa Asagaroff
scene e costumi Luigi Perego
light designer Valerio Tiberi
coreografo Cristiano Colangelo